Fluid Tales
TEXTS BY LIA DE VENERE E ROSALBA BRANA'
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 Saturday the 12th April at 7pm The Museum Pino Pascali in Puglia, Italy will inaugurate the exhibition entitled  'Fluid Tales' by artist Virginia Ryan and curated by Lia Del Venere and Rosalba Brana'.

 ......Ryan's work  has often concerned displacement, migrations, memory, loss and transformation, and has involved  multiple engagements with local artists and  communities.
 Her work in the last decade involves large scale installations resulting from research in/of contemporary West Africa, including, in this solo exhibition, both an exploration of the cult of Mami Wata and a second installation recording and preserving , through individual photographs , the memory of a community in rapid transformation.
Ryan uses traditional western and contemporary visual languages, and frequently  employs everyday objects, often recycled, to explore the extraordinary reality of today's dynamic West Africa; mindful of her origins, in her mixed media artwork her lived experience allows her to step outside the claustrophobia of  the Eurocentric gaze......
 In the installation 'Surfacing' the mythological figure of the mermaid is evoked, a metaphor for the perils of navigation and at the same time, a female  (hybrid) archetype present in western and mediterranean myths,able to cause havoc and illness , the very descent into madness of humans,  through their melodious singing, Alongside these seven sculptures (made of thousands of artificial black hair extensions purchased in the markets in Adjame, in Abidjan) which are displayed hanging, as if emerging from the abyss or floating in the  air, will be displayed seven drawings by the recently deceased Ivorian artist  Frédéric Bruly Brouabré:  drawn renderings  of seven 'colored mermaids' painted in his signature size postcards specifically for Ryan in 2010.

Two thousand photos, recuperated by the artist from the photographic studios of coastal Grand Bassam, one time capital of the colonial Ivory Coast, today Unesco World heritage site, will be displayed, suspended, as a counterpoint:  Salvaged from destruction , collected over the last year and here transformed into an installation entitled 'I LOVE YOU':  the collection bears witness to a multitude of individual lives which make up, together, a portrait of the city – images of birth, marriage, clubs, family gatherings, schools, religious rituals ,beach life, funerals – a filtered reflection on what it is which defines both  individual and collective lived experience.

 During the opening,supported by the city of Grand Bassam and the Embassy of Ivory Coast in Italy, members of the Ivorian community  resident in Puglia  will present a performance especially created for the occasion.

 The exhibition will be open from the  12 april to15 June 2014.
 Tuesday through Sunday : 11-13, 17-21; closed Monday.
Texts by Rosalba Brana' and Lia del Venere




Fluid Tales

Mostra personale di Virginia Ryan
a cura di Lia De Venere e Rosalba Brana'
Inaugurazione 12 aprile 2014 ore 19,00.
   
L’artista, australiana di nascita, ha vissuto a lungo in altri continenti e da diversi anni lavora in Africa. In particolare, durante la permanenza in Ghana e Costa d’Avorio, ha realizzato delle installazioni attraverso le quali la cultura e la spiritualità delle popolazioni indigene vengono rilette con modalità rispettose della loro sensibilità  e al tempo stesso innervate da tensioni legate al vivere contemporaneo.
A monte delle grandi installazioni in mostra alla Fondazione Museo Pino Pascali, stanno  l’interesse nei confronti della persistenza del mito delle sirene presso alcune comunità africane  e l’intento di preservare – attraverso le immagini  degli individui – la memoria collettiva di un tessuto sociale in rapida trasformazione.  
Con l’installazione Surfacing, Virginia Ryan evoca le figure mitiche delle Mami Wata (dall’inglese Mammy Water), metafore dei pericoli della navigazione, ma anche simboli dell’archetipo del femminile e simili per molti aspetti alle sirene, creature ibride che si incontrano spesso nelle mitologie occidentali, capaci di ammaliare con il loro canto melodioso e di portare alla perdizione gli umani.  Accanto alle grandi code di lunghi capelli neri, come emerse dagli abissi marini e fluttuanti nell’aria, con cui Ryan raffigura le divinità africane, saranno esposti alcuni disegni raffiguranti delle sirene che Frédéric Bruly Brouabré, il più importante artista ivoriano, recentemente scomparso, ha voluto realizzare per Virginia alcuni anni fa.
Duemila fotografie, recuperate dall’artista negli studi fotografici di Gran Bassam, la vecchia capitale coloniale della Costa d’Avorio, oggi patrimonio dell’UNESCO, e salvate dalla distruzione o comunque dall’oblio, sono riunite nell’installazione I love you, che costituisce una efficace testimonianza del vissuto di individui degli ultimi vent’anni –  immagini di nascite, matrimoni, feste di famiglia, momenti di svago – e insieme un invito alla riflessione su ciò che accomuna le vite di persone appartenenti a culture diverse.
FONDAZIONE MUSEO PINO PASCALI
VIA PARCO DEL LAURO 119
70044 POLIGNANO A MARE (BA)

Sirene d'Africa al mare di Polignano (Virginia Ryan, artista nomade nel Museo Pascali)

18 April 2014 at 15:36 PIETRO MARINO

Vecchi miti e nuovi riti sociali e culturali dell’Africa di oggi animano con evidenza teatrale il salone centrale del Museo Pascali a Polignano, grazie a due grandi installazioni. La prima è composta da cave forme nere sospese o abbandonate per terra che alludono a favolose code e pinne di una tenebrosa donna-pesce, rivestite da cascate di capelli femminili: evocazione di una Sirena africana dalla lunga chioma, che nelle ex colonie inglesi è denominata Mami Wata. La seconda propone raggiere di cordicelle su cui sono appese vecchie istantanee di singole persone, famiglie, coppie, che convergono ad un pilastrino su cui è posato l’ingenuo modellino di una nave passeggeri. L’autrice è Virginia Ryan, nota artista di origine australiana che ha l’Italia come seconda patria. Dopo aver vagato e vissuto in diverse parti del mondo, da una ventina d’anni divide residenza e lavoro fra Trevi in Umbria e l’Africa: prima in Ghana ad Accra, ora a Grand - Bassam, storica ex capitale della Costa d’Avorio con affaccio sull’Atlantico. Dalle acque dell’Oceano si può immaginare che sia venuta la Mami Wata: ben diversa dalla Sirena dei miti mediterranei o baltici - non solo per il colore della pelle, ma per le ambigue, anche inquietanti, doti magiche che le sono attribuite. In un piccolo video insabbiato sul pavimento della sala è incarnata da una donna con coda artificiale che intona una struggente nenia del Burkina Faso mentre è distesa sulla battigia. A parete si stende una serie di taglienti icone di sirene che Fréderic Bruly Bouabré -  celebrato artista ivoriano morto quasi centenario nel gennaio scorso - aveva disegnato per l’amica bianca nel 2011, sapendo delle sue ricerche sul mito locale. Da questi spunti e incontri di vita Virginia Ryan ha fatto lievitare con ironia un po’ noir, su leggeri scheletri di ferro, frammenti metonimici di spettrali corpi mutanti con pelli e mantelli di finte ciocche nere. Sono “estensioni” made in Cina per le chiome delle donne, acquistate nel mercato di Abidjan, la nuova capitale della Costa d’Avorio. Ora, nel Museo al cospetto dell’Adriatico le figure della mitologia negra si propongono a loro insaputa come gemelle delle metamorfosi di natura mediterranea create da Pino Pascali giocando con teli da vela, scovoli da Upim, lana d’acciaio, rafia, peli sintetici, o sbucando da un sacco sul litorale tirrenico.

Suggestioni inevitabili, che hanno sorpreso la stessa Ryan. Ma la sua arte muove da altre narrazioni (Fluid Tales è il titolo della mostra curata da Rosalba Branà e Lia De Venere). Si nutre di cultura visiva di stampo antropologico, diffusa in ambito internazionale dagli anni Novanta. Usa con agile eclettismo procedure di accumulo, trasformazione, messinscena di oggetti trovati e di immagini recuperate per rilevare fenomeni di transizione, nomadismo e trasformazione nel tempo della “deriva dei continenti”. Tende amorevoli fili di salvataggio fra memoria ed oblìo. Sollecita anche il coinvolgimento di gruppi sociali. Un metodo partecipativo evidente nella operazione che la rivelò in Puglia nel 2007 in occasione di Intramoenia ExtraArt, col dispiegamento spettacolare nel castello di Acaja di lenzuoli sui quali un gruppo di donne salentine aveva ricamato parole –chiave scelte da loro stesse.

A simile dimensione mentale rinvia l’installazione con le vecchie fotografie in posa, da lei recuperate in blocco da un fotografo di Grand- Bassam che stava chiudendo bottega, mentre anche in Africa avviene la conversione al digitale e agli smartphone. Le vediamo queste immagini residue, appese con precarie mollette sugli andamenti molli di fili come scie di bastimenti col loro carico umano, rotte migratorie, instabili congiunzioni. Si capisce così che l’Africa di Virginia non è quella di Karen Blixen nutrita di nostalgie postcolonialiste, né quella di Tarzan e Cita sognata nei cinema di Bari dal giovane Pascali. E’ l’Africa delle società urbane che sulle onde di rapidi cambiamenti lascia relitti e reliquie del suo passato, che la Ryan raccoglie e rivitalizza. Come la bambola rotta che trovò un giorno sulla spiaggia di Grand - Bassam mentre si accomiatava dai suoi amici africani. “Ma no - le rispose un amico indicando la bambola sospinta dall’oceano  – vedrai che Mami Wata ti farà tornare”. Così è avvenuto. La bionda e non più nomade artista può ora attingere nuove accensioni di fantasia da una cultura nera che riversa lava d’immaginario profondo nel sistema globalizzato dell’arte.   

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