Intervista Santa Nastro Art Tribune, Italy, March 2017 http://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2017/03/mostra-intervista-virginia-ryan-palazzo-lucarini-trevi/
Sei cresciuta in Australia, hai vissuto per molti anni in Africa e ti sei stabilita anche se in maniera non stabile in Italia. Ci racconti un po’ di te e di come questo continuo viaggiare ha infuenzato la tua arte?La parola viaggio e' una parola chiave nella mia vita, fa parte dei miei geni da sempre. Sono cresciuta in Australia, prima ho vissuto a Melbourne e poi ci siamo trasferiti, da adolescente, a Canberra, anche se nel frattempo ho trascorso due anni in Italia, a Varese, dove ho frequentato la IV e la V elementare e dove ho imparato la lingua italiana. Siamo arrivati in Italia in nave, siamo partiti da Melbourne abbiamo passato sei settimane in mare con l'Achille Lauro (all'epoca Passenger liner) per arrivare a Genova. Due anni dopo, il viaggio di ritorno, da Roma a Canberra questa volta però in aereo. Canberra, città ancora senz'anima, l'unico grande deserto nel quale ho vissuto.In effetti, l'Italia e' stata sempre importante nella mia vita mi sono sempre sentita a casa (la mia seconda casa) sin dagli anni sessanta. Sono diventata cittadina italiana nel 1981.Ho passato gli anni ottanta e novanta con Giancarlo, con i miei figli Chiara e Julian vivendo tra Alessandria D'Egitto, Roma, Brasile, Ex-Yugoslavia (durante la guerra), Scozia e l'Italia. In Italia la mia casa si trovava in Umbria dove ho tutt'ora la residenza e lo studio. Poi come sai ho vissuto periodicamente in Ghana e in Costa D'Avorio per quindici anni.Alla fine direi che mi sento un'artista anche 'italiana', perchè ho la cittadinanza sia perchè da oramai trent’anni, ed ho potuto praticare molto in questo paese e nelle mie opere l'Italia è qualcosa di familiare. Forse ora posso dire che mi sono stabilita in maniera, infatti, stabile.
La mia identita' é mutevole, le memorie di paesi, lingue, luoghi si sovrappongono. In tutto questo movimento però c'é corrispondenza, dopotutto anche noi bianchi australiani siamo venuti da altri mondi. Nel mio caso, i miei bisnonni sono partiti dall'Irlanda intorno al 1850-60 per andare in Australia.Ho vissuto fuori dai grandi centri d'arte contemporanea occidentali, lontano dal vortex dei mercati; mi ha sempre profondamente affascinato la potenza dell'immagine ovunque mi trovassi. Sono stata considerata 'straniera' quasi tutta la mia vita, dovunque.E non é una debolezza, una mancanza di qualcosa, anche se a volte ti senti instabile, ma una ricchezza un'acquisizione di una maggiore sensibilità, spesso riesco a vedere le cose da dentro e da fuori riesco ad immedesimarmi nelle "scarpe" dell'altra/o.
Come ha influenzato tutti questi spostamenti la mia arte? Mi ha confuso, mi ha sfidato per decenni, mi ha creato continui corto circuiti - chiudendo un studio, una vita in un luogo con una comunita' di artisti per ricominciare in un altro continente la settimana dopo. Questo è scioccante ed eccitante allo stesso tempo. Contemporaneamente mi ha regalato orizzonti mai immaginati prima, mi ha donato strumenti per poter esplorare quando la percezione di me stessa, di chi ero nel contesto sociale diventava sconnessa e si frammentava.
Succede a tutti che gli occhi si stancano a volte, cercano, anche invano, un'idealizzazione del familiare; nonostante cio' credo che alla fine il viaggio ha reso libera la mia ricerca artistica - sono stata libera di cambiare, di sperimentare, di sbagliare, di voltare le spalle ad un percorso strutturato e programmato. Posso essere anche libera di essere dimenticata dagli altri.
Per necessità sono stata un'esploratrice, anche se in costume borghese, non sapevo mai dove andavo a finire. Quindi c'e un aspetto di abbandono, di vulnerabilita'.Sara' anche il motivo per cui spesso scelgo objects trouvees, l'abbandonato come punto di partenza nel mio lavoro., come per esempio nell’opera Castaways, creato in Ghana, camminando sulle spiagge per cinque anni e raccogliendo/trasformando il materiale raccolto in 2,000 ‘sculptural paintings’: bassi rilievi prima presentati come grande wall-installation al Whitworth Gallery di Manchester nel 2007.
Come sei giunta alla conclusione di dover diventare un’artista?
Avevo forse sette anni, a scuola (cattolica; ora mi rendo conto piena di bambini con soprannomi Irlandesi, Grechi, Polacchi, Italiani...) a Melbourne.Avevo passato qualche ora a tirare fuori, con matite colorate, un disegno di uno spaventapasseri su un foglio A4. La suora ha appeso il disegno al muro insieme a quelli degli altri bambini prima della visita annuale della madre Superiore. Al momento della visita la madre superiore, figura molto autorevole e molto temuta da noi bambini, iniziò a guardare i disegni e si soffermò davanti al mio e chiese chi fosse stato a farlo.Non lo scordero' mai. Sentivo in lei la conferma di un desiderio segreto, che quello era il mio destino. Il mio cuore batteva forte. Certo mi fa ridere ora, ma quando mi fanno questa domanda,e' la prima immagine che mi viene in mente, quello spaventapasseri sulla parete bianca. La nostra casa a Melbourne, poi, era sempre un luogo dove il gioco era importante, sia dentro casa sia fuori nel giardino. Si trovavano sempre carta, pennelli, matite, il gesso, il cellofan, la sabbiera, gli alberi dove costruivamo case di cartone o di legno, la scatola con i vestiti vecchi per creare costumi e travestimenti. Quindi diventare artista non e' stata proprio una conclusione ovvia a cui sono giunta, piuttosto è stato il frutto di una serie di circostanze e concatenazioni di eventi che io con occhi curiosi seguivo. Partendo dal gioco infantile, passo passo, esplorando. Molto poco vocazionale, '-piu' partendo da una pulsione, una necessita' interiore.
Crescendo ho perso la mia strada, per poi ritrovarla; frequentando l'Accademia di Belle Arti nella citta' di Canberra (alla quale nel frattempo mi ero abituata) dove ho poi insegnato per un breve periodo prima di partire con Giancarlo per Alessandria D'Egitto. Giancarlo lavorava come diplomatico italiano e insieme abbiamo lavorato per trent'anni in quest'ambito. Quindi la vita e' stata di arte, ma anche di fare cultura in un senso ampio.Ancora penso a volte che mi svegliero' un giorno e mi rendero' conto di avere imbrogliato, perche' dire che si e' artisti potrebbe essere troppo facile; ma io lo vivo anche come una grande responibilità. Credo che questo succede a tutte le persone che si fanno delle domande e che inevitabilmente porta a momenti di forte dubbio. Il punto e' andare avanti lo stesso.
Chi sono stati i colleghi che maggiormente ti hanno influenzato?Tra questi spicca un nome su tutti "Frederic Bruly-Bouabrè?Conosecere Frederic Bruly-Bouabrè, certo, e' stato importante per me, sono stata una sua amica di famiglia, voleva essere chiamato Papi (che per me non aveva un buon suono in quegli anni!); conoscevo bene il suo lavoro prima di arrivare ad Abidjan, il suo percorso di trovare un identità’ da giovane artista/inventore e burocrate in un paese franco-coloniale ed anche della sua collaborazione con Alighiero Boetti . Mi affascinava la misura 'cartolina' delle sue opere perche' suggeriva la facilita' con la quale le sue opere potevano girare il mondo in una valigia per poi essere in contatto con migliaia di persone- mentre lui, uomo Africano, aveva sempre bisogno di quei visti nel passaporto - e sappiamo come vanno a finire spesso queste storie.' Il tema delle valigie ritorna anche con il gruppo MakeArtNotWalls/Italia intitolato 'The Art of Migration', infatti, nella mostra che faremo fra poco le valigie come contenitori per piccole opere avranno un ruolo importante. Questa mostra è in collaborazione con alcuni ragazzi richiedenti asilo.
Ci sarebbero una preziosa constellazione di artisti poco conosciuti internazionalmente con i quali ho instaurato legami di stima. Ogni artista che ho conosciuto, sia in Italia sia altrove hanno lasciato in me un segno nel bene o nel male, come individui connessi ad un'appartenenza quasi tribale. Mi attira la costruzione di art worlds per usare il termine del libro del sociologo Howard Becker del 82 credo - piu' che focalizzarmi su singoli artisti. Detto questo, incontri con artiste come Naima El Shishiny in Alessandria D'Egitto nel 83, Raul Cruz (morto giovannissimo di Aids nel 93) del gruppo Geração 80 in Curitiba in Brasile, artisti in Africa nei posti piu' lontani come il pittore Cyprien Tokoudagba in Abomey in Benin o Kwame Akoto in Kumasi, Ghana : precursori della nuove generazione di artisti contemporanei iper-connessi grazie ai social media, sono stati fondamentali nel mio percorso di apprendimento che il mondo occidentale/bianco non e' il normal default position.Molto giovane, sono stata immersa nelle conversazioni inerente l'arte femminista degli anni settanta, le scritte ed interviste di figure come Lucy Lippard e Linda Nochlin. Fu Barbara Campbell, artista e docente del primo corso di Women's Art Studies in un'accademia Australiana che mi ha prima reso consapevole della posizione della donna-artista , ancora spesso soggetta alle vicissitudini dei sistemi dell'arte; nello sviluppo del mio intendere il mondo, sono stata influenzata dai voci del psicoanalista Donald Winicott o dello psicologo Carl Rogers, per nominarne solo due - ti ricordo che ho anche una laurea in Art Therapy preso Queen Margaret's College di Edimburgo - e negli ultimi quindic' anni dal noto antropologo/sound artist Steven Feld con il quale ho imparato a 'sentire' il mondo di nuovo e, da allora, sono nati diversi collaborazioni fra noi anche con Extramoenia in Puglia nel 2007 e l'Associazione Largo Baracche a Napoli............
Come si è evoluta in questi anni più italiani la tua arte?Ho visssuto due anni a Roma negli anni ottanta; giovane e alle prime armi, ho partecipato alle iniziative dei Magazzini Generali, lavorando poi con curatori come Barbara Tosi e diverse gallerie come Schneider all'epoca sulla scalinata vicino a Piazza di Spagna.Ma fu al mio secondo 'rientro' nel 1996, l'anno prima del terremoto, che ho comminciato a sentirmi radicata. Ricordo la prima manifestazione Viaggiatori Sulla Flaminia ideato da Franco Troiani (e che continua fin'ora) che mi apriva ad un mondo di viaggiatori, artisti, poeti, antropologhi ; mi sentivo su terra ferma, finalmente - e poi l'anno dopo le scosse di terremoto,la sensazione di essere di nuovo precaria. Situazione che si e' ripettuta come sappiamo recentemente.
In quegli anni ho fatto i primi progetti che, guardando indietro, posso dire sono venuti fuori anche dagli anni di studio di arte-terapia intrapreso in Scozia , anche quella una re-azione al periodo vissuto a Belgrado durante la guerra. Opere che dialogavano con la communita' umbra come Cento Passi (per Viaggiatori sulla Flaminia,infatti, poi divenuto un libro pubblicato da Orfini Nurmeister) e anni dopo con Achille Bonito Oliva (il quale mi ha anche seguito in Africa) e Giusy Caroppo, con 'Intransitu'- una collaborazione con l'antropologo/MacArthur scholar Steven Feld e un gruppo di ricamatrici di Muro Leccese; e dopo sempre con Feld che filmava e registrava la parte sonora di 'Nascita project' a Foligno e 'Terremotus Femminile' con i giovani curatori di Largo Baracche nei Quartieri Spagnoli a Napoli, Tatafiore e Ruffo ; sempre con gruppi di ricamatrice,voci fuori del coro.Mi interessano gli spazi ed anche i limiti del gruppo, la mia pratica guarda ed include spesso gli altri come modus operandiAlla Fondazione Pascali invitata da Rosalba Brana' e poi a Castelbuono opere scultorie creati in 'Africa hanno trovato un pubblico Europeo chiaramente molto diverso da quello presente al vernissage di queste stesse opere a La Fondation Charles Donwahi ad Abidjan- giovane, cosmopolita ed afro-francese. E questo avvicinamento di siti geograficamente del mio vissuto certamente influisce il lavoro che sto producendo qui, ora, in Italia.
Con l’Africa però mantienieni sempre un rapporto speciale.
Si, nel senso di lealta',consapevolezza, nessuno spazio alle illusioni o agli stereotipi.Con l'ultimo ciclo di opere , come dicevo, prodotto nel mio studio italiano nel 2015/16 , ed esposto nella personale 'I Will Shield You' alla galleria Montoro12 a Roma nel Maggio 2016 , questo 'rapporto speciale' come lo descrivi era ben evidente. le opere rimandano ad un estetica di assemblage, sovraposizionamenti, intrecci dove ''i materiali si trasformano in una sorta di organismo vivente' come ha scritto il critico Britannico-Ghanese Osei Bonsu.Il mio special relationship con l'Africa occidentale non e' colonialista e neanche post-colonialsita - la mia arte appropria, miscela, riproduce e trasforma in un continuo dialogo con memorie liquide trasmettendo una visione che mira ad essere autentico e non eurocentrico.
Ci sono dei progetti che stai portando avanti lì?Per il momento ho deciso di concentrarmi in Italia. Nonostante cio',va avanti The Foundation for Contemporary Art da me fondata nel 2004 ad Accra e sto spesso in contatto con colleghi nel mondo dell'arte Africana. Il futuro e' aperto.
Ci parli della mostra che stai per inaugurare?
La mostra si intitola 'Biografia Plurale' e s’inaugura presso il Centro per l’Arte Contemporanea Palazzo Lucarini Contemporary di Trevi . Nel 2008 feci una grande mostra a Palazzo Collicola per il festival di Spoleto del titolo 'Africa e Oltre'dove furono presentati otto anni di lavoro in Ghana accanto ad installazioni 'italiane'. Da allora,si tratta della prima rielaborazione sistematica in Italia dei materiali prodotti fra Ghana e Costa d’Avorio. Saranno esposti un corpus di opere 'formalmente eclettico ma coerente nell’intuizione fondante' coadiuvata da due curatori di formazione diversa, Ivan Bargna (antropologo dell’arte) e Maurizio Coccia (storico dell’arte). Il catalogo avra’ anche testi di Mara predicatori e Manuela De Leonardis, la quale ha condiviso alcune esperienze Africane con me..Il co-curatore Coccia sintetizza così: e' un arte che 'concilia l’osservazione partecipante d’impronta etnografica con la funzione catalizzante dell’arte contemporanea'. Bilanciando ready-made, fotomontaggi e realizzazioni originali, mette al centro della ricerca, il modo in cui la produzione e diffusione d’immagini (dall’arte alla fotografia alla pubblicità) contribuisce a creare la cultura e la memoria dei paesi nei quali ho vissuto, e interviene nell’articolare le biografie e le relazioni delle persone che ho incontrato/ incrociato. Lo stesso giorno, sara' inaugurata la mostra The Art of Migration - nel chiostro della Pinacoteca di Trevi a cinque minuti da Palazzo Lucarini . E' una mostra complementare dove saranno installati i risultati spesso sorprendenti di un laboratorio artistico creato con alcuni profughi provenienti dalla Guinea, dal Mali, dalla Nigeria, dal Ghana e dal Gambia. Laboratorio di arte che ho fondato nel Settembre 2016 , poco tempo dopo con la collaborazione dell'Americana Julia Perry. È un laboratorio esplorativo a carattere esperienziale, in cui la condivisione della pratica artistica, spesso con materiali riciclati, e’ un mezzo per i partecipanti di orientarsi nella nuova realtà sociale qui in centroitalia, da condividere con la cittadinanza e i visitatori del museo. Credo nelle contaminazioni, in un'Italia multiculturale e diversificata.E credo che i migranti hanno necessita’ di esprimere il loro vissuto.Come so bene, essere in transizione come loro sono, non e’ un non-stato, un eterno aspettare , ma un momento da vivere pienamente.
Tu+a questa vita di spostamenti, di incontri, di viaggi che cosa ti ha donato, sopratutto se parliamo di pratica artistica ?
Spero, la capacita' di vedere oltre i confini culturali e geografici, e la consapevolezza delle interconnessioni. Vorrei che la mia pratica artistica parlasse di questo.
E invece cosa senti di aver perso?
Un contesto geograficamente gestibile; un'identità più circoscritta con frontiere definite .Non vengo da una 'scuola'/citta'/paese ,una posizione fissa per decenni che aiuta a costruire una biografia piu' facilmente avvicinabile da critici/storici/curatori. Però perdendo ho guadagnato una vita inaspettata.
C’è qualche proge+o che hai nel casse+o e che non hai mai realizzato?
Decisamente si, ma i cassetti sono un altro continente. Per ora sto ferma, non vado a frugare.
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Manuela De Leonardis:A Tu Per Tu con Artisti Che Usano La Fotografia;VOLUME 3
INTRAMOENIA EXTRA ART 2007- Il tour della meraviglia- teknemedia 2007
Tra poco meno di un mese prenderà il via il terzo evento diretto da Achille Bonito Oliva, Intramoenia Extra Art, che dal 2005 porta l?arte contemporanea nei castelli di Puglia.Dopo Casteldelmonte (dicembre 2005-febbraio 2006), Manfredonia, Lucera e Monte Sant?Angelo (ottobre- dicembre 2006), quest'anno tocca al Salento.ll progetto curatoriale di Giusy Caroppo, attraverserà i luoghi del barocco, in un ?'our della meraviglia', così come è stato definito da ABO, e porterà a Sud nomi eccellenti del panorama internazionale e non solo; tra gli altri Virginia Ryan e Baldo Diodato che nelle scorse settimane, sono stati impegnati in sopralluoghi, negli spazi a loro affidati, per la progettazione e la realizzazione di opere site specific.Abbiamo intervistato la curatrice Giusy Caroppo e l'artista Virginia Ryan.
Maria Grazia Taddeo: Giusy, quest'anno, diversamente dalle altre edizioni, c'è stato un lancio con una visibilità ad ampio raggio: la conferenza stampa dello scorso 19 settembre al Maxxi di Roma.
Giusy Caroppo: Un successo di affluenza sopra le nostre aspettative, grazie all'impegno del nostro ufficio stampa Manual, coordinato da Paola Marino, e di Rossella Meucci Reale, esperta in found reising, che ha tessuto un fil rouge importante con la banca Monte Paschi di Siena, Mail Sponsor di INTRAMOENIA EXTRA ART e che insieme alla Darc ha promosso la conferenza.
M.G.T.: Intramoenia, progetto complesso e pionieristico in Puglia, è riuscito, seppur in breve tempo, a conquistarsi sempre più l?attenzione e il sostegno degli Enti Istituzionali e Privati. Pensi che in un territorio periferico per l?arte contemporanea, il tuo progetto sia riuscito a far comprendere alle varie forze economiche di quali grandi e costruttive possibilità possa essere foriero il sostegno ad iniziative culturali?
G.C.: In Puglia finora non c?è stata grande sensibilità di aziende private, se non di grandi strutture ricettive come Park Hotel Castel del Monte, nella prima edizione e l?Acaya Golf Hotel Resort, in questa. Le grandi aziende, purtroppo, hanno ignorato l?evento, sebbene il parternariato del Club delle Imprese della Confindustria di Bari fa ben sperare per il futuro.Una grande conquista è invece stata quella di mettere insieme le Soprintendenze, grazie anche al supporto di Ruggero Martines che ha condiviso dal principio la mission del nostro progetto, quest?anno la Provincia di Lecce in maniera veramente considerevole e finalmente la Regione Puglia, non solo per ciò che concerne la cultura ? Silvia Godelli, assessore al Mediterraneo, ha dal primo momento dato ossigeno al progetto - ma anche il turismo, l?assessorato di Massimo Ostillio, realizzando il nostro sogno di un progetto che potesse unire in maniera intelligente 'turismo e cultura'
Riguardo al progetto di quest?anno, il castello di Acaya ci è stato segnalato dalla Provincia di Lecce che ne ha finanziato il restauro e quindi col nostro evento si celebrerà anche l?inaugurazione dello splendido maniero, che fa capo al comune di Vernole.
Muro Leccese invece ci è sembrato quasi un miracolo del nostro sud: un restauro perfetto, un supporto didattico eccellente - peraltro curato dal Professor Paul Arthur dell'Università di Lecce, che ha seguito i restauri di alcuni gioielli come il frantoio ipogeo del Borgo Terra - guide gratuite dalla grande gentilezza e competenza. E poi la poesia di luoghi che conservano la semplicità e il silenzio che le nostre città hanno dimenticato.
M.G.T.: Come nelle precedenti edizioni (Sara Ciracì per Casteldelmonte, Braco Dimitrijevic per Manfredonia) hai scelto luoghi ed artisti per interventi site specific. Per Acaja hai pensato a Virginia Ryan mentre per Muro Leccese, Baldo Diodato. Quale la ragione che ti ha indotta a scegliere questi due artisti?
G.C.: Sono anche loro artisti un po? fuori dai circuiti tradizionali, ma che hanno già lavorato in progetti complessi curati da Achille Bonito Oliva, negli anni scorsi. Artisti che hanno operato prevalentemente all?estero, la Ryan in Ghana soprattutto e Diodato a New York; artisti che pongono alla base della loro ricerca uno stretto rapporto con il territorio, il genius loci e la sua storia. Ecco perché il lavoro di Diodato fermerà in calchi di alluminio lastricati stradali, muretti a secco e graffiti arcaici di Lecce e dintorni, quello sensibile e profondo di Virginia Ryan, traccerà un legame tra il luogo -il castello di Acaya e l'affresco rinvenuto della 'Dormitio Virginis'le tradizioni artigianali locali, il ricamo in questo caso ? e l'interiorità , la personalità di donne di ogni estrazione sociale e età, invitate a collaborare al progetto.Si tratta delle fondamenta di una chiesa tardo bizantina, che conserva ancora intatto un affresco che ha come soggetto una Dormitio Virginis.L'ambientazione è molto particolare in quanto insiste nel cortile del castello ed è separata dalle sale, è un luogo altro e proprio dalla sua identità Virginia è partita per ideare il suo progetto
Maria Grazia Taddeo: Virginia, vuoi raccontarci quali suggestioni ti ha ispirato il sito che la curatrice ha pensato di affidarti?
Virginia Ryan: La mia attenzione è stata immediatamente catturata dal tema dell'affresco: la scena della morte della Vergine, presenta la tradizionale iconografia medievale dell?animula che appena uscita dal corpo che passa in un?altra dimensione. Il mio intento è quello di creare un dialogo tra questa raffigurazione ed il concetto di sospensione.In transitu (titolo del progetto) nella sua ideazione, intendeva concentrare la riflessione sulla transizione da uno stato esistenziale ad un altro, in accezioni plurali: entro il sonno e la veglia, la vita e la vita ultraterrena, la terra ed il cielo.
M.G.T.: Come per altri progetti anche in questa occasione hai voluto la collaborazione della gente del posto. Chi sono le persone che hai voluto come collaboratrici di ?In transitu? e perché?
.R.: Ho sentito il sito come uno spazio estremamente femminile, e da sempre conosco la devozione delle donne del Sud per la Madonna. Quindi ho pensato alle donne della comunità, ed ho cercato qualcosa che fosse particolarmente legato alle loro radici culturali. Sono venuta a conoscenza della tradizione di tramandare di madre in figlia l?arte del ricamo. Ho fatto riferimento anche alla mia storia personale: mia suocera è napoletana, anche lei una donna del Sud, e mi sono venuti in mente i miei riposi estivi sulle federe ricamate del suo corredo.
l corredo, altro elemento femminile. Ma soprattutto le federe. Sul cuscino il nostro corpo si abbandona e raggiunge nel sonno un?altra dimensione, sul cuscino siamo soggetti a quotidiane transizioni.Così l?idea di avere tante federe, ognuna testimone di un personale passaggio. Ho contattato un gruppo di ricamatrici e ho chiesto ad ognuna di loro di ricamare una parola che fosse significativa di una transizione del loro percorso personale.Le federe saranno tese e sospese in maniera irregolare sui resti archeologici, come tele bianche che sussurrano in bianco momenti privati ma universali, e si metteranno in relazione con l,affresco.
M.G.T.: Dodici le donne salentine che hanno lavorato con te, ci racconti come hanno e come hai vissuto questa esperienza e quali sono le storie di transizione che hanno deciso di donare?
V.R.: Come allinizio di ogni progetto c'era il timore di incontrare diffidenza ed invece, come ogni altra volta, la gente è stata disponibile e si è prestata prendendo molto a cuore il lavoro e donando le proprie esperienze di vita mettendosi a nudo.Sono dodici donne; un gruppo di amiche, madri, figlie, sorelle che si riuniscono in laboratori di ricamo coordinati da Anna Maria Spano. Sono donne di diverse età, e di diversa estrazione sociale e tutte hanno partecipato con grande generosità. Le parole che hanno scelto di ricamare sulle federe hanno a che fare con la loro vita quotidiana: con i ricordi, con le speranze, con gli affetti, con la fede. Ecco in questo senso il senso del progetto ha un po' cambiato aspetto; infatti accanto a parole testimonianza di momenti di transizione raccontati da alcune donne, si sono affiancate anche parole dalla fortissima connotazione di permanenza nella vita, che hanno dato al concetto di transito anche un valore di crescita, o di momento di svolta delle proprie esistenze. Mi è piaciuto che il progetto si modellasse sulle esistenze di chi si è fatto ?creatore? insieme a me del lavoro, e quindi per rispettarne l?autenticità ed il coinvolgimento marcato e sincero ho deciso di lasciare che questi aspetti diversi e anche contrastanti convivessero stabilendo una nuova dinamica.
M.G.T.: I tuoi interventi hanno la caratteristica di essere una sorta di immersione e condivisione nella antropologia viva e pulsante dei luoghi in cui operi, significativa è infatti anche la scelta di collaborare da tempo con il prof. Steven Feld, antropologo nonché uno dei maggiori esperti di etno-musicologia. Anche in questo caso hai previsto un suo intervento con uno spazio sonoro appositamente creato per ?In transitu?. Di che si tratta?
V.R.: Steven mi ha accompagnato nel sopralluogo, ha incontrato con me le ricamatrici, le ha osservate lavorare e le ha ascoltate leggere le motivazioni che ognuna aveva per le parole ricamate. Così è nato l?accompagnamento sonoro: abbiamo registrato la voce di ogni donna mentre leggeva, e poi il chiacchiericcio durante il lavoro. Queste registrazioni saranno il sottofondo sonoro dello spazio delimitato dalle federe, e la loro riproduzione è stata studiata in maniera tale da creare la percezione, insieme alla disposizione delle federe, di uno spazio intimo e domestico, che è soprattutto uno spazio dell?anima.
M.G.T.: Una volta chiusa ?Intramoenia Extra Art?, pensi che questa installazione potrà avere un proprio cammino ed essere esposta altrove?
V.R.: Sì, questa è una idea che sta maturando man mano che il lavoro va avanti: in occasione del sopralluogo ho voluto fotografare ognuna delle donne, con il proprio ricamo tra le mani. L?intensità dei visi, la forza degli sguardi, mi ha affascinata, e credo che in futuro queste foto, i testi, magari proprio i manoscritti, potrebbero costituire ulteriore materiale per dare nuova forma al progetto o comunque una documentazione completa di esso.
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Intervista a cura di Giusy Caroppo
tratta dal catalogo INTRAMOENIA EXTRA ART_Castelli di Puglia
Volume 3 - Castelli del Salento
Editrice Rotas, Barletta 2008
Giusy Caroppo: L'universo femminile, la memoria, le tradizioni indigene, il rapporto "straniero" integrato e popolazione locale?. Questi sono alcuni dei temi che caratterizzano la tua ricerca.
Ci descrivi sinteticamente alcuni dei tuoi progetti recenti?
Virginia Ryan: Per esempio, 'Castaways' è un progetto multisensoriale di 2000 piccoli collage creati con 'informazione ambientale' raccolta sulle coste dell'Africa occidentale, accompagnata da un ambiente sonoro e film intitolato 'dove l'acqua tocca il suolo' creato dall'artista sonoro Steven Feld - una meditazione sull'Atlantico e l'esplorazione di un luogo significativo nella storia della schiavizzazione e dell'incontro.
'Topographies of the Dark'- Dipinti sculturali in grande scala che poi risuonano nelle improvvisazioni musicali del gruppo afro-americano 'Accra Trane Station', inciso nel gennaio 2008 in Santa Fe, New Mexico, e 'Exposures - a White Woman in West Africa' - 60 immagini di me stessa in situazioni quotidiane con persone del Ghana durante il periodo 2002-2005, già presentato in Italia, America ed Australia.
G.C. : A Muro leccese ? per l'opera IN TRANSITU - hai lavorato con un gruppo di donne ricamatrici per passione, differenti per cultura, ambito sociale, età; peraltro, donne di un piccolo paese di estrazione contadina. Quale la loro reazione alla proposta e svolgimento di un progetto complesso di arte contemporanea come il tuo?
V.R. :In progetti di gruppo di questo tipo lavoro in un equilibrio bilanciato tra un rapporto direttivo e non-direttivo, innanzitutto creando un senso di sicurezza comune verso il progetto e assicurando che tutti i partecipanti, in questo caso le 15 donne del gruppo di ricamo 'Arakamare', sentano la forza delle loro abilità e che abbiano una grande autorità personale. C'era un grande senso di collaborazione, anche grazie all'organizzatrice del gruppo, Anna Maria Spano. Le donne erano entusiaste nel partecipare ed hanno interpretato l'idea delle installazioni in termini molto personali, dando 'anima' all'opera finale.
G. C. :Per la realizzazione dell'opera installata ad Acaya hai coinvolto Steven Feld, sound artist.
Perché affianchi spesso ambienti sonori ad opere già di grande suggestione visiva?
V. R. : Negli ultimi anni mi interesso sempre più a progetti collaborativi e all'idea di coinvolgere più sensi. Tramite questo, personalmente anch'io ho imparato nuovamente ad 'ascoltare'. Nel caso di Acaya, l'intimità ed autorità delle singoli voci femminili ha dato sia gravitas che poesia all'aspetto visivo, coinvolgendo il pubblico su livelli multipli.
<l concetto di sospensione espresso dall?iconografia sacra dell?affresco della ?Dormitio Virginis?, ispira la realizzazione di federe ricamate a mano, con parole che interpretano un momento significativo della vita o concetti universali; le stesse parole, diventano melodia di sottofondo.
Il lavoro artigianale prodotto dall?Associazione murese ?ArakAmare? e seguito dalla maestra Marilena Patisso, è stato realizzato durante i laboratori di ricamo organizzati dall?Associazione ?La bussola? grazie al coordinamento di Anna Maria Spano e l?assistenza di Maria Grazia Taddeo.)
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